Cappadocia on streaming


Ho cercato di raccontare la Cappadocia dall’alto della mongolfiera e attraverso la fiaba per mia nipote di sette anni… eppure ancora ho la sensazione di non aver detto tutto. Non ho ancora esaurito le parole ma non posso annoiarvi. Mi lascio trasportare dai flash della memoria e seguo per quanto possibile lo stream dei miei pensieri.

–       chiudo gli occhi e sono dentro una città sotterranea. Ce ne sono una trentina nell’Anatolia centrale, costruite per fuggire agli attacchi dei Persiani e poi utilizzate dai bizantini per nascondersi dagli Ottomani. Io sono dentro una città costruita su 8 livelli di profondità, come fossero i piani di un grattacielo rovesciato. Ci sono innumerevoli cunicoli e stanze/appartamento che garantivano la discrezione per ogni nucleo familiare. Ci sono le cucine e i bagni per poter accogliere fino a 3mila persone. Oltre a realizzare un efficiente sistema di aerazione, gli astuti profughi perseguitati potevano accendere i loro fuochi indisturbati, perché il tufo che riveste le pareti della città assorbe il fumo. Così nessun Persiano o nessun Ottomano in superficie si accorgeva della vita sotto terra. Kaymakli è il nome della città segreta che ho visitato, sconsigliatissima se troppo affollata o se soffrite di claustrofobia: l’aria non manca, ma ci si rende conto di come l’umanità riesca ad organizzarsi per anni pur privandosi della luce, del vento e dello spirito di libertà che deriva da una scontata passeggiata all’aria aperta.

–       Apro e richiudo gli occhi: sono a Goreme. Sono in una chiesa antichissima. E’ una chiesa dentro ad una grotta, un camino di fata svuotato e adattato al culto dei cristiani. Le pareti sono affrescate con colori sgargianti, preservati nei secoli grazie all’assenza di luce. Esco e passeggio in un museo a cielo aperto…è la città-monastero che accoglieva gli asceti cristiani del Medio Oriente. Cappelle, chiese e celle monastiche dentro un agglomerato di coni di tufo; tutte le cavità raccontano con i disegni storie cristologiche o racconti di blasonati santi: i più ricorrenti San Giorgio, sempre con l’immancabile drago, e Sant’Onofrio, l’anacoreta egiziano vestito dai suoi capelli. M’innervosisco appena evoco questo posto: infatti la memoria non richiama solo le immagini ma trasferisce anche le emozioni collegate ai ricordi, ed io lì ero tremendamente infastidita dalle masse di turisti, specie dagli italiani che si vantavano di fotografare e riprendere gli affreschi secolari nonostante i divieti. Quel posto mi ricorda la stupida mediocrità del turismo di massa.

–       Scaccio il fastidio con un battito di palpebre: sono davanti all’ingresso di un Hotel di tufo. Sventola la bandiera della Turchia sopra il cappuccio di roccia del cunicolo. Lo sfarzo dei tappeti e le innaturali comodità di finestre e porte mi allontanano e mi conducono in un luogo con la stessa struttura ma completamente selvaggio. Guvercinlik, la valle dei piccioni, nei dintorni di Goreme. Mi arrampico per l’esplorazione e con la mia solita incoscienza indosso delle infradito… al ché sudo, scivolo, mi aggrappo e poi mi arrendo a metà strada, mi siedo in un angolo e mi giro all’orizzonte… e l’emozione del ricordo stavolta è forte e indelebile: la valle incantata delle fate si estende per chilometri, è suggestiva, è lunare… da qualunque prospettiva, valli, chiese o mongolfiere, la Cappadocia s’imprime nel ricordo come una cornice fiabesca nell’esperienza dei viaggiatori.

I camini delle fate

«Tata, tata, ma dove sei stata?»

«Tesoro, ero in un posto incantato … ero dove abitano le fate turchine»

«Davvero? E tu le hai viste? C’hai parlato?»

«Purtroppo non si fanno vedere ma ho visto tutte le loro casette»

«E come sono fatte?»

«Sono come delle piccole capanne di roccia, alcune sono talmente lunghe e strette da sembrare dei camini; al posto del tetto hanno un masso che sembra stia per cadere. Più il masso è grosso e particolare, più la fata è potente.»

«E come sono dentro?»

«Non si può disturbare una fata in casa sua! Però si può entrare nelle capanne abbandonate… le fate si trasferiscono spesso da una casa all’altra e quando non vi abitano più fanno cadere il masso che stava sopra per segnalare che può essere usata dagli umani. Alcune persone ci hanno fatto un albergo per i turisti, altri hanno dipinto delle storie bellissime sulle pareti, altri ancora hanno usato le capanne per nascondersi durante le guerre e le persecuzioni»

«Allora tu sei entrata in quelle dove non c’era più il masso! Ma come hanno fatto le fate a mettercelo?»

«Non ce l’hanno messo loro… la natura con molta pazienza ha creato questa regione. Prima i vulcani hanno messo la loro lava, poi il vento e la pioggia, lambendo la roccia per secoli, hanno modellato le casette. Per questo ognuna ha una forma diversa e, per quanto sembrino in bilico, i massi sono parte di tutta la struttura; non possono cascare! Tutto è tenuto in equilibrio dal sapiente lavoro della natura. Le fate turchine difendono la regione, perché gli uomini o gli eventi non distruggano l’armonia del paesaggio.»

«A me sembrano dei funghi giganti… ci abiteranno anche i folletti con le fate… ma… Ma perché si chiamano fate turchine?»

«Perché in questa zona si trovano delle gemme bellissime di colore azzurro inteso, turchese appunto. Le fate adorano creare i gioielli con queste pietre preziose ed indossare morbide vesti dello stesso colore. Anticamente le fate e le gemme provenivano solo dalla Turchia, dalla quale presero il nome… poi si diffusero anche in altre parti del mondo.»

«Uffa tata! Però voglio andarci anche io, voglio vedere le fate e giocare con loro»

«Un giorno ci andrai tesoro, ma le fate resteranno sempre nascoste… devono preservare il segreto della magia e far si che le persone possano incantarsi anche solo attraverso la fantasia».

grazie Montgolfier!

C’è un posto nel mondo dove conviene fidarsi ciecamente di una cesta e di un telo, di un buon turco che dosa sapientemente aria calda e fredda, del vento e delle persone intorno. Conviene tuffarsi nell’esperienza di una mongolfiera. Dicono che la Cappadocia sia uno dei posti più adatti al mondo per sperimentare l’aeromobile più antico e meno nocivo della storia.Ci sono centinaia di compagnie che organizzano viaggi in mongolfiera in questa regione, il prezzo si aggira intorno alle 100€ per persona… probabilmente si trovano anche offerte più economiche ma non credo sia il genere di cose sulle quali convenga risparmiare. Tutte le compagnie organizzano le partenze all’alba, intorno alle 5.30-6, tuttavia la mia guida mi ha prelevato dall’albergo alle 4.30, così che ho potuto apprezzare anche tutte le fasi di preparazione e montaggio delle mongolfiere… cominciano stendendo i teli e gonfiandoli attraverso aria compressa, le ceste con una capienza per 30 persone circa, vengono legate ai teli solo poco prima della partenza.

Ci saranno state un centinaio di mongolfiere che si sono librate in aria quasi contemporaneamente da una raduna stepposa. La mia è partita quasi per ultima; mentre stavo nella cesta con i miei compagni di viaggio mi domandavo come avremmo fatto a decollare. Bà! Ero vicinissima al “pilota”, vedevo tutti i suoi gesti e sentivo tutto quello che diceva ai tecnici di terra tramite il walkie talkie (avrei voluto sapere il turco… perché evidentemente c’era qualche problema se saliti trai primi non eravamo ancora decollati). Stavo rannicchia nella cesta, come un neonato nel fagotto della cicogna, quando ho realizzato che ci stavamo sollevando da terra. La mia idea di volo prima di quel giorno era legata al frastuono dei motori degli aerei, all’accelerazione sulla pista e alla forte spinta che t’incolla al seggiolino quando il marchingegno si alza in volo… ecco, scordatevi tutto ciò! Decollare con una mongolfiera significa sollevarsi dolcemente ondeggiando da un lato all’altro, lasciarsi cullare nell’ignoto dell’altitudine. Mi sono resa conto di volare solo quando mi sono affacciata giù dalla cesta, ma il brivido di vertigine, a quel punto, è stato annullato dalla bellezza mozzafiato dei camini delle fate e dell’ambiente lunare della Cappadocia. Se invece alzavo gli occhi e guardavo verso l’orizzonte o verso l’alto del cielo, incontravo le decine e decine di mongolfiere variopinte che sorvolavano con me.

Le compagnie si fanno una guerra sfacciata per accaparrarsi i turisti e cercano di diversificare i percorsi, anche se i tragitti pianificati vengono spesso modificati dal vento, unico vero responsabile dell’incolumità del volo. Il mio “pilota” si è destreggiato tra gli alberi e qualche camino, dandoci la sensazione di andare a sbattere per poi risollevare all’ultimo la mongolfiera con una risata beffarda per rispondere ai nostri urli spaventati. Nel momento dell’atterraggio ci ha “appoggiato” con delicatezza direttamente sul camioncino per il trasporto della cesta e ci ha offerto lo spumante per festeggiare la buona riuscita del volo.

La visione “dall’alto” mi ha sempre affascinato: ogni esperienza, oggetto, ambiente o sensazione acquisisce un carattere nuovo se viene sor-volata. Nell’uso comune, “sorvolare” significa passarci sopra ma con una connotazione di disprezzo, quando l’oggetto o la situazione in questione non merita la nostra attenzione. Credo che sorvolare ci aiuti a capire, a ridimensionare qualcosa che abbiamo sopravvalutato o afferrare la bellezza di qualcosa che non apprezziamo a sufficienza. Come ogni emozione diventa più comprensibile quando ce ne separiamo, così i camini delle fate diventano un villaggio sterminato se visti dalla mongolfiera, regalando una cornice incantata ad un volo che sostenuto dalla magia.

Impression, Istanbul

Trai mille scorci da cartolina di Istanbul, le suggestioni più belle sono state 3: il palazzo Topkapi, Santa Sofia e la Cisterna Basilica.

Il palazzo reale dei sultani Ottomani viene costruito subito dopo la conquista della città e diventa il fulcro del potere durante gli anni dell’Impero. Non teme confronti con Buckingham Palace o con Versailles, soprattutto per la spettacolare vista su Istanbul e sul Bosforo che i sultani si sono scelti. Come in ogni palazzo reale di epoche passate, Topkapi racconta lo sfarzo e la ricchezza dei suoi abitanti e conserva i segreti e i gioielli sfarzosi delle famiglie reali. La megalomania dei sovrani è uguale in ogni cultura per cui il complesso della residenza racchiude una piccola cittadina. Una palazzina intera è dedicata all’Harem, che letteralmente significa “privato” e che altro non era che l’appartamento della famiglia. Ogni sultano poteva avere fino a 4 mogli ma naturalmente poteva sistemare tutte le concubine vicino alla sua residenza. Gli ambienti dell’Harem rispecchiano l’immaginario collettivo con la corte degli Eunuchi neri, la corte delle concubine e quelle per le consorti. C’è poi un palazzo dedicato appositamente al rito della circoncisione e un altro atrio dedicato alla conservazione e consultazione di libri e documenti. Insomma questo Topkapi è immenso e ha richiamato nella mia mente la riflessione sulla volatilità del potere: per 500 anni c’è un luogo che è espressione di un Impero, c’è un sultano che riceve le ambasciate dal mondo nella sua reggia, c’è il controllo del mondo in esclusiva per pochi… poi 90 anni dopo ci passeggio io in mezzo a orde di turisti! Come se l’esclusività di quel posto non esistesse più. Diventa normale entrarci e passeggiarci. Magari tra 90 anni mangeremo un panino nel giardino privato di Buckingham Palace!

Santa Sofia è un altro modo per dire che il mondo cambia con il tempo… costruita come Chiesa, convertita in Moschea, trasformata in Museo dalla riforma laica di Ataturk. L’atmosfera di sacralità è impressionante e l’architettura musulmana assieme ai mosaici cristiani arricchiscono la complementarietà tra le due anime del luogo. C’è la Madonna con il bambino e ci sono i medaglioni con le iscrizioni in arabo. C’è il pulpito e il mihrab che indica la Mecca e c’è Costantino che regala la città a Maria. Non manca niente all’interno, anche se dall’esterno la Santa Sofia sembra solo una moschea, forse più vissuta e più regale della fronteggiante Moschea Blu.

Meno turistica, ma non meno ricca di suggestioni, è la Cisterna Basilica: sotto  una storica basilica che ora non esiste più, Giustiniano fece costruire una cisterna per l’approvvigionamento di acqua dei palazzi reali. Della serie “le cose si fanno perbene”, il buon Giustiniano fece costruire centinaia di colonne per arricchire questo magazzino d’acqua sottoterra. Gli Ottomani, subito dopo la presa della città, ne fecero una discarica segreta, anche per disfarsi di cadaveri scomodi. Poi la cisterna è caduta nel dimenticatoio per centinaia di anni, fino a quando gli abitanti della zona non riferirono ad un archeologo di accedere ad un pozzo segreto dalle loro cantine. Così la cisterna oggi è accessibile a tutti. Si attraversano i corridoi sulle passerelle di legno, si vedono le carpe giganti che nuotano indisturbate, si ammira la cura delle colonne illuminate dal basso, la bellezza dei capitelli, la vasca con la testa di Medusa… si resta affascinati sebbene sia solo una cisterna!

Questi posti secondo me sono l’essenza di Istanbul… ma ovviamente le impressioni sono sempre soggettive e si possono cogliere anche negoziando i prezzi nei mercati (magari privilegiate il Bazar delle Spezie al Gran Bazar…mi è sembrato più autentico e meno turistico, ho trovato perfino un signore che voleva vendermi le sanguisughe, utili a far guarire ogni ferita, certo!), nei locali della zona di Sultanahmet o passeggiando lungo il Bosforo.

Non ho parlato delle innumerevoli moschee che ho visitato… forse troppe, dopo la quarta non si apprezza più l’originalità di ognuna. Sono un’altra chiave di lettura storica della città, perché ogni sultano voleva dimostrare la sua devozione costruendo la moschea più bella o la più grande. Incantevole è la Moschea Blu… gli intarsi alle pareti danno l’idea di un’inesauribile e devota pazienza, caratteristica forse mai smarrita in questo luogo grazie ad un signore che tutti i giorni pulisce ogni lampadina degli immensi lampadari della moschea.

TURCHIA: guerre e sponde

Quell’enorme penisola perennemente in bilico tra l’Europa e l’Asia ha avuto nel corso della storia un solo nome geografico, Anatolia, ma un’infinità di nomi politici a seconda del governo e del periodo storico: il Regno degli Hatti ci sta già 2000 anni prima di Cristo, poi viene sottomesso dal Regno Ittita che quando cade frantuma la penisola in vari regni. Lidia, Licia e Panfilia erano le regioni più ricche fino a quando la Frigia, gelosa perché non aveva accesso al mare, è diventata la più forte e ha sottomesso le altre. Si dice che questo popolo divenne ricchissimo grazie al re Mida che trasformava in oro tutto quello che toccava. Però l’oro non ferma le guerre così l’Anatolia passa in mano ai Cimmeri, che la passano all’Impero Persiano, che la passa ad Alessandro Magno… che distrugge il suo grande Impero perché si era dimenticato di nominare un successore. Nascono di nuovo i piccoli regni, se ne rafforza uno, Pergamo, che, a nome degli altri regni, consegna le chiavi della penisola ai Romani. Efeso diventa la capitale della Provincia Romana in Oriente e rimane tale fino a quando Costantino sceglie Bisanzio, che stava sul passaggio per il Mar Nero.

Bisanzio diventa così Costantinopoli nel 330 d. C. che a sua volta diventa Istanbul nel 1453, cioè quando gli Ottomani abbattono l’ultimo baluardo dell’Impero Bizantino per creare l’Impero Ottomano. I sultani Ottomani (che non sono extra terresti con 8 mani:) rimangono al potere per quasi 500 anni, fino a quando un signore di nome Mustafa Kemal, nel 1923 dichiara la nascita della Turchia così come la conosciamo oggi.

Che fatica concentrare 4 000 anni di storia in poche righe!ma è necessario per capire un territorio: si può viaggiare senza guida, senza prenotazioni, senza un sacco a pelo ma non si può viaggiare senza storia. Non si capisce quel che si vede… ed in Turchia si vedono un’infinità di cose diverse: si vedono le moschee che erano chiese, si vedono cavità naturali con affreschi cristiani, si vedono laghi salati che non esistono più, si vede la potenza romana ridotta in ciottori e si vedono giovani e vecchi che fumano narghilè sotto un grattacielo di una banca americana.

Specialmente a Istanbul ho avvertito questi contrasti. Ci si districa tra la parte pulita e standardizzata europea ed i colori e la confusione della parte asiatica. Basta solo dire che è l’unica città al mondo che può vantare il privilegio di trovarsi a cavallo tra due continenti.

Il famoso ponte del Bosforo che collega l’Europa all’Asia è imponente ed impressionante. 1074 metri di lunghezza sospeso su un mare dalle correnti fortissime… e questa è Istanbul, dove si scontrano le correnti delle civiltà, le correnti delle religioni, le scuole di pensiero sull’integralismo e sulla modernità islamica, i flussi migratori di due continenti… tutti ossimori protesi l’uno verso l’altro, con un mare in mezzo, come le due sponde di questa città.

Aachen und Moschau

Dreilandenpunt

Sono appena tornata da Aachen, che in francese è Aix-la-Chapelle, che in italiano è Aquisgrana, ad ogni modo era la storica capitale del regno di Carlo Magno ed attualmente è in Germania. Tutta la regione, North RheinWestfalia, pulsa di storia, specialmente di guerre scatenate nel tempo per i così labili confini tra Belgio, Olanda e Germania. Anna mi ha fatto da guida e mi ha portato in un posto spettrale, il Dreilandenpunt, il punto delle tre nazioni, dove in mezzo ad una foresta innevata si è contemporaneamente in Belgio, in Olanda e in Germania, anche se non ho visto molto più in là del naso per via della nebbia!
È pazzesco come si varca il confine da una parte all’altra, da una nazione all’altra, solo per prendere un caffè… io sono abituata ad avere il mare ovunque mi rigiro per l’Italia, e se proprio passo il confine in macchina, devo attraversare innumerevoli tunnel che traforano le Alpi. Oggi c’è l’Europa e viaggiare così è meraviglioso, ma capisco più che mai i noiosissimi trattati del passato che svisceravano villaggi impronunciabili per definire i confini tra le nazioni.
Anna mi ha portato anche in un autentico mercatino di Natale: credetemi, ho visto quello di Innsbruck e di Bruxelles, ma quello di Monschau li supera di gran lunga, non per dimensioni ma per la reale atmosfera tedesca che si respira. C’è veramente la neve ovunque, c’è veramente la musica natalizia suonata dal vivo, c’è il vero Glüwein, c’è San Nicola che passa per strada e saluta i bambini, c’è la vera produzione di leccornie di qualità e soprattutto ci sono le casette half-timbered che incorniciano il mercatino (non so come si dice in Italiano ma metto delle foto).
Per la prima volta dopo tanto tempo, sebbene viva all’estero da quasi un anno, mi sono sentita straniera… tutti attorno a me parlavano solo Deutsch e non capivo un accidenti, tutti avevano gli occhi blu e i capelli biondi. Ero immediatamente riconoscibile come straniera! Wow! Ho comprato solo della mostarda tipica di questa zona, ma ho assaggiato di tutto… le castagne che cuociono al vapore (die Maroni le chiamano…), le caramelle di vino e vaniglia, la pancetta grassa e grossa dentro un pane di mostarda, il cognac alle nocciole e gli speculoos, i biscottini secchi alla cannella. Anna era orgogliosissima di portarmi in una coffee roaster (come si dice in italiano?) per assaggiare un vero espresso all’italiana che non ha disatteso le aspettative.
Pure in Germania si sono organizzati per fumare dentro ai pub, che devono avere però un sistema di aspirazione efficiente, non come in Belgio che si fuma ovunque… ho tutti i vestiti che puzzano di fumo…come farò a riabituarmi all’Italia? Quando si pensa ai tedeschi come i precisini pro regole si ha proprio ragione… tra un po’ ho rischiato una multa di 40€ per aver buttato una cicca per terra! Nessuno si muove se il semaforo pedonale è rosso… e non passa manco un’anima, tutti aspettano in fila indiana che arrivi il bus per rispettare l’ordine di arrivo quando si monta e ovviamente tutte le vie pedonali hanno una direzione per la gente che va e quella che viene… manca che si mettano a suonare per annunciare un sorpasso!
Bhè sono stata veramente bene… ho mixato come al solito l’inglese all’ormai più usato francese e captavo qualche parola in tedesco che riaffiorava alla mente come un vaghissimo ricordo inconscio. Poi sono salita sul treno per tornare a Bruxelles e per la prima volta in vita mia ho parlato con un ragazzo Afghano… nel suo stentato inglese mi ha raccontato la sua storia ma era visibilmente in ansia per il viaggio in treno, perché mi ha chiesto mille volte se il treno arrivava a Parigi. Quanta vita! Posso a malapena immaginare come si senta un pesce fuor d’acqua in una realtà che non ha niente a che vedere con la sua.
Per un attimo ho girato la testa dall’altra parte del corridoio del treno. Il tizio seduto dalla parte opposta leggeva il Corriere della sera. Italianità. E sono tornata a Bruxelles.

amer – sucré

Una nota veloce di aggiornamento… non ho scritto tantissimo in questa esperienza e mi dispiace perché forse ho maturato molte più idee e sensazioni che a Dublino… ma con il lavoro di ufficio non sono stata in grado di metabolizzarle bene e scriverle. Inoltre tante riflessioni riguardano le persone che ho incontrato, le loro vite e le loro esperienze e non le posso raccontare… ma mi sono servite per mettere un po’ d’ordine nella mia vita e soprattutto nelle mie priorità.
Ho raccolto molti apprezzamenti quassù sul mio modo di comportarmi. Non credo di essere una persona straordinaria ma a confronto con la realtà che ci circonda quest’ambiente, basta veramente poco, basta essere reali, per fare la differenza. Ho conosciuto un mondo molto arrivista, presuntuoso, edonista, spesso ipocrita, dove quello che conta è l’apparenza e la forma… nel vestire, nel parlare, nelle relazioni.
Ci sono persone che non si accorgono degli altri: un bimbo che piange, una donna incinta, una persona ferita, una vita spezzata finiscono per non avere nessun valore se ad occuparsene non si ottiene qualcosa in cambio. Per me tutto questo è allucinante.
Non ho mai avuto dubbi sul fatto che l’uomo di natura sia egoista ed alquanto cattivo (santo Machiavelli, quanto c’hai visto bene!) ma mi ero data una spiegazione che ruotava intorno al desiderio del potere, non dei soldi, ma del mero potere. Dopo questa esperienza, in cui le persone che ho incontrato non hanno un briciolo di potere, posso completare la spiegazione con il bisogno di quiete, generata dall’indifferenza. Le persone amano l’indifferenza perché li mette al riparo dalle domande scomode, anestetizza l’anima dai dispiaceri… a scapito di essere se stessi. E il lavoro quassù è l’anestetico per eccellenza, l’ufficio e la carriera sono gli ambienti nei quali rovesciare tutte le frustrazioni della vita privata. Mio Dio che ansia, però non sta a me giudicare.
Probabilmente, la mia sensibilità non mi porterà molto avanti professionalmente, ma è meglio così! Perché voglio vivere e sentire la vita intorno a me… per fortuna, delle belle persone che porterò nel cuore e che hanno avvalorato questa esperienza più di ogni amarezza, compensano tutti i farisei e mi rendono felice di aver passato questo periodo belga.
Bhè ora parliamo di cose più divertenti: sono stata ad Amsterdam. Non commento tanto. Non mi è sembrata una città stratosferica, anzi… lasciamo perdere poi la disavventura con i treni Bruxelles-Amsterdam che potevano competere con le ferrovie italiane in inefficienza e ritardi. Poi mi sono goduta i fantastici mercatini di Natale che animano Bruxelles: dalla Bourse fino a Place St. Cathrine ci saranno 200 bancarelle di ogni ben di Dio culinario e di deliziosi oggettini artigianali (mi sa che due valigie per tornare non basteranno…). D’obbligo, per sopravvivere al freddo che ha raggiunto i meno 12 l’altra settimana, è bersi un buon Vin Chaud che non ha niente a che vedere con il Vin Brulé perché è senza spezie, solo zucchero e succo d’uva (si fa per dire… la gradazione è alta ma il vino non sa proprio di nulla). Completo il mio tour natalizio il prossimo weekend ad Aachen in Germania, sperando che i treni non mi facciano tribolare di nuovo…
E poi è finita… il 20 torno a casa.

overviews

quassù-laggiù

Oggi giornata di pieno relax… era veramente tanto che non passavo un po’ di tempo solo per me; in cui non facevo il punto della situazione di quello che sto vivendo!
Ogni weekend ho avuto qualche ospite o l’ho passato a giro… anche stavolta c’era la mia amica Anna (la ragazza tedesca che abitava con me a Dublino) ma è andata via ieri, lasciandomi la domenica per me, sola, senza impegni.
Avrei dovuto fare la tesi e altre faccendette, ma non mi andava. In settimana non ho gran tempo libero: in genere lavoro, esco alle 6.30, faccio la spesa se c’è bisogno, preparo cena, mi metto su Skype, doccia e dormo. L’interessantissima vita da lavoro nei giorni normali è questa. Ma il divertimento sta spesso proprio nel lavoro, perché senza rendermene conto (tanto il capo non mi avvisa prima…) mi trovo in Ambasciata, in Parlamento e a delle riunioni dove proprio mi sento un pesce fuor d’acqua, con scritto in faccia che sono una stagiaire… ma tutto serve e tutto fortifica. Lavorare è una pacchia in confronto allo studio e mi rendo conto di quanto quassù sia facile il passaggio dalla teoria alla pratica, proprio perché mi trovo in mezzo ai processi che fino a due mesi fa leggevo sui libri. L’unico neo è l’eccessivo pessimismo che si respira in ufficio o tra stagiaires sul futuro lavorativo… nessuno vuol lavorare in Italia, consapevoli del rischio di trovarsi con un’occupazione mal retribuita, instabile e sottovalutata. Sarà vero? Nel senso… quelli che stanno quassù per forza hanno un’opinione negativa se sono fuggiti, ma qualcuno ci sta in Italia soddisfatto del suo lavoro?
Comunque, è difficile capire cosa sta succedendo alla mia vita; mi sembra di mancare a casa da un anno, è come se Bruxelles fosse una prosecuzione di Dublino perché i 3 mesi che ho passato a casa sono volati, senza avere il tempo di immagazzinare l’esperienza Irish e con l’idea di dover ripartire. Così, so che tante cose stanno cambiando anche a casa, tante piccole novità hanno già rivoluzionato il mio paese e le persone che ho lasciato. Io per un verso mi sento estranea a quello che accade laggiù, per un altro verso mi sento ancora più coinvolta. E per un altro senso ho una terribile voglia di tornare, di mettere le radici per un po’… in contrasto con una certa calamita che mi attira a rimanere. Quello che mi diventa però sempre più chiara è la profonda convinzione di essere fiera di me stessa. Perché ho sempre voluto viaggiare, sperimentare, conoscere… sono fiera di aver scelto liberamente tutte le mie esperienze, di aver superato le difficoltà e di aver scelto quello che IO volevo. Non è semplice perché le mie decisioni coinvolgono spesso le altre persone e si ripercuoto nella loro vita. Ma è un obbligo morale sentirsi liberi.
E senza condizionamenti continuo il mio percorso… Mi dispiace dovervi scrivere con questo tono un po’ evasivo: ho chiaro in testa quello che volevo comunicare ma dovevo farlo celando alcune cose. Chi ha orecchie per intendere, intenda.

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